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L’orrore degli allevamenti intensivi in un documentario indipendente

L’orrore degli allevamenti intensivi in un documentario indipendente
Da: Girovagando Pubblicato In: Gennaio 27, 2024 Visualizzato: 690

L’orrore degli allevamenti intensivi in un documentario indipendente

Suini concentrati in pochissimo spazio, uno sopra l'altro, con ferite e code morsicate per gli atti di cannibalismo, le scrofe chiuse in gabbie poco più grandi del loro corpo, senza alcuna possibilità di movimento, i suinetti morti lasciati di fianco a quelli vivi. Sono immagini impossibili da dimenticare, come l'odore, anzi la puzza di ammoniaca, che ti rimane addosso e che non vedi l'ora di lavarti via. All'epoca lavoravo ad Announo, la trasmissione che conducevo su La7, e quello fu il mio primo reportage realizzato entrando di notte negli allevamenti per filmare le condizioni in cui vivevano gli animali. Come è nato Food For Profit Chiamai un'associazione per i diritti degli animali: «Salve, sono una giornalista, vorrei fare anch'io come ho visto nei vostri video».

«Ok» mi rispose Stef, che fu poi lo stesso che mi accompagnò fra i campi della Pianura Padana per sgattaiolare dentro gli allevamenti. Proprio perché l'obiettivo è che tutto resti occulto, infatti, l'unico modo per entrare negli stabilimenti è filmare con le telecamere nascoste. Era la fine del 2018 quando decisi che quell'orrore non poteva restare silenziato sotto proclami in favore del decantato made in Italy, brand che cerca di nascondere come vengono allevati gli animali con cui si fanno i prodotti eccellenti di cui andiamo tanto fieri. In quel periodo lavoravo a Le Iene e un giorno entrai nella stanza di Davide Parenti, il mio capo, per dirgli: «Vorrei fare un documentario internazionale sugli allevamenti intensivi che ricevono i fondi europei. E mostrare da dentro il mondo dei lobbisti a Bruxelles». Dalla sua risposta affermativa è partito un viaggio che mi ha cambiato la vita, fatto insieme agli attivisti in giro per l'Europa, che in diversi casi si sono fatti assumere negli allevamenti dove hanno lavorato per alcune settimane. E con delle telecamere nascoste siamo riusciti ad accedere persino ai piani alti di Bruxelles, un'impresa mai tentata prima.

Gli allevamenti intensivi italiani Le immagini raccolte che più mi hanno colpito sono proprio quelle che ho visto in Italia. In un allevamento di polli in Veneto di proprietà di una delle più note aziende alimentari italiane, gli animali che venivano considerati degli «scarti», cioè non adeguati alle esigenze di mercato, venivano uccisi a bastonate o sbattuti contro il tubo di ferro che serve per alimentarli. Nel Lazio, invece, un attivista nostro collaboratore, unico italiano fra tutti migranti, è riuscito a farsi assumere, rigorosamente in nero, per caricare i tacchini nel camion da mandare al macello. Ritmi serratissimi perché i lavoratori erano pagati 15 euro a camion (non all'ora!), nessun rispetto del benessere animale, persino bestie morte caricate sul camion per fare aumentare il peso. «Nessuno fa i controlli qui?» chiede il nostro infiltrato al braccio destro del capo: «Macché, è tutto un magna magna». Morire di profitto in Spagna Grazie al documentario ho potuto vedere con i miei occhi anche i danni perpetrati dagli allevamenti intensivi nel resto del Vecchio Continente.

Nella Murcia, in Spagna, una regione desertica a Sud di Valencia, gli allevamenti di maiali sono spuntati come funghi, rendendo impossibile qualunque altro tipo di attività, ad esempio quella turistica, perché la puzza, i camion e la desolazione la fanno da padroni. La Murcia, dove si contano più di due milioni di maiali per neanche un milione e mezzo di abitanti, si affaccia sul Mar Menor, una laguna sul Mediterraneo, un tempo una specie di paradiso, oggi una Miami di terzo rango, soffocata da albergoni e bar, che combatte contro un grosso problema: l'inquinamento del mare. Sia nel 2019 sia nel 2021 è successo che i bagnanti si siano risvegliati con tonnellate di pesci morti a riva. Secondo il governo locale la colpa sarebbe del calore, secondo ambientalisti e cittadini invece la responsabilità è dei fertilizzanti dell'agricoltura intensiva e dei liquami che finiscono tutti in questa laguna.

Basti pensare che un maiale defeca dieci volte più di un uomo, il che significa che nella Murcia viene prodotto ogni anno l'equivalente di 1.500 piscine olimpioniche di liquami. Disastro ambientale in Polonia Ancora più inquietante è il caso della Polonia, che è diventato il primo produttore di carne di pollo in Europa, e il trend è in continua crescita. Nel 2021 con Pablo D'Ambrosi, regista insieme a me del documentario, siamo stati a Zuromin, a tre ore di macchina dalla capitale Varsavia, dove a causa dell'altissima concentrazione di polli è impossibile stare anche solo qualche secondo all'aperto perché l'odore è così pungente che bruciano gli occhi e fa male la gola. Abbiamo incontrato un signore di più di 70 anni, che vive circondato da decine di capannoni di polli: il suo giardino è praticamente inutilizzabile e giorno e notte i camion gli disturbano il sonno. Neanche i nipoti lo vanno più a visitare.

È rassegnato a essere prigioniero in casa sua e non può andarsene perché nessuno si fa avanti per comprargli casa. Gran parte delle aziende che operano sul territorio non sono della regione, e alcune sono straniere. Non si capisce bene quale sia il guadagno per i cittadini, mentre è evidente il profitto per le aziende. Dove vedere Food for Profit È per questo che abbiamo deciso di chiamare il documentario Food for Profit. Perché dietro ai maltrattamenti degli animali, all'abuso degli antibiotici, all'inquinamento dell'acqua e dell'aria, al lavoro nero, c'è sempre la logica del taglio dei costi per massimizzare il profitto. Proprio perché l'industria contro cui ci stiamo mettendo è molto potente, inizialmente faremo uscire il documentario con una distribuzione totalmente indipendente.

Una scommessa: saranno le associazioni e i singoli cittadini che lo vorranno a organizzare proiezioni nei cinema, nelle case e nelle scuole. Sarà la forza del passaparola a decidere quante persone avranno modo di vedere il film e quanto Food for Profit potrà incidere sul dibattito pubblico, soprattutto in vista delle elezioni europee. Grazie alle voci autorevoli degli intervistati, da Jonathan Safran Foer a David Quammen, passando per il filosofo australiano Peter Singer, la richiesta è semplice: stop al finanziamento pubblico degli allevamenti intensivi. Una richiesta che non avrebbe neanche senso di esistere, visto che la presidenza di Ursula von der Leyen si è aperta con l'annuncio del Green Deal, un piano Marshall per trasformare l'Europa in un continente a trazione verde che avrebbe dovuto riformare radicalmente l'economia. Quelle promesse, una a una, stanno svanendo, ma più che la credibilità della presidente della Commissione qui c'è in gioco la sopravvivenza del nostro pianeta. Che deve essere messa prima del profitto. Ognuno di noi può fare la differenza, basta solo acquisirne la consapevolezza e volerlo.

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