Era “essenzialmente” un’operazione di marketing per svecchiare il brand e i risultati sono stati anche deludenti. Costi alti e vendite esigue. Per quanto imbellettato dal viso dell’influencer più famosa al mondo, impacchettato in maniera glamour e addolcito da una spolverata di zucchero a velo rosa, il pandoro ‘solidale’ Balocco griffato da Chiara Ferragni – un caso sollevato da Selvaggia Lucarelli – avrà un costo salatissimo per l’azienda e le due società dell’imprenditrice digitale, Fenice e Tbs Crew. Non solo per la maxi-multa inflitta dall’Antitrust ma anche per il danno di immagine che ne seguirà. Perché le 24 pagine del provvedimento firmato dal presidente dell’authority Roberto Rustichelli demoliscono qualsiasi linea difensiva: tutti i protagonisti sapevano che la commercializzazione non avrebbe contribuito a cercare nuove cure per i bambini colpiti da osteosarcoma e sarcoma di Ewing, perché la donazione di 50mila euro era già stata effettuata, dalla sola Balocco, molti mesi prima che il prodotto entrasse in commercio.
Piuttosto, come scrive una dipendente di Balocco in una mail interna durante la fase in cui viene scelto come veicolare il messaggio, “mi verrebbe da rispondere: le vendite servono per pagare il vostro cachet esorbitante”, quantificato nei documenti dell’inchiesta in oltre un milione di euro. L’azienda dolciaria piemontese, ad avviso dall’Antitrust, “non avrebbe voluto inserire nel comunicato il riferimento alla donazione come legata alle vendite del prodotto”. Non solo. Nei post e nelle stories collegati al pandoro limited edition, Ferragni – scrive sempre l’authority – “ha lasciato intendere di essere parte attiva” della donazione all’ospedale Regina Margherita di Torino e “in tutti i contenuti diffusi legati all’iniziativa” ci sono “espressioni comunque dirette ad avvalorare la circostanza” che l’influencer “in prima persona avesse contribuito all’iniziativa benefica”. E invece quella donazione, già stabilita in fase di stesura del contratto tra l’azienda e l’imprenditrice digitale, “non ha avuto alcun rapporto con le vendite”
Lo raccontano, si legge nel documento che ha condannato Balocco e Ferragni a pagare una multa milionaria, le e-mail “che i team di Balocco e della Ferragni si sono scambiati, addirittura nel mese di settembre del 2021, prima della firma del contratto” nelle quali “si parla apertamente della circostanza che la donazione sarebbe avvenuta nel mese di maggio”. Eppure “tutti i messaggi veicolati al pubblico” per presentare l’iniziativa benefica “sono stati realizzati associando le vendite” del pandoro al “reperimento dei fondi”. Si legge in una mail dell’azienda: “Per noi è molto importante sottolineare il sostegno al progetto benefico senza menzionare le vendite (in quanto si tratta di una donazione che non è legata all’andamento del prodotto sul mercato)”, scriveva un dipendente di Balocco. È andata diversamente, con il contenuto di comunicati, post e stories che sono stati sostanzialmente decisi, lo ripete più volte l’Antitrust, dalle società di Chiara Ferragni.