«Io, violento contro mia moglie senatrice. Vorrei chiederle scusa, mi vergogno»
«Urla e sputi a mia moglie senatrice, poi lei mi ha denunciato. Ora le dico grazie: così è riuscita a fermarmi»
Carlo (nome di fantasia), condannato a due anni per violenza domestica. Oggi è seguito al Cimp, il centro che si occupa del recupero degli uomini maltrattanti. «Non mi rendevo conto e mi vergogno. Agli uomini dico: non smettete di dialogare»
«Una volta le davo i baci sugli occhi poi sono arrivato a sputarle in faccia», Carlo (nome di fantasia) è stato condannato in secondo grado per violenza domestica nei confronti della moglie. Oggi è in pensione, ha 74 anni, dopo 30 passati a lavorare in un’istituzione finanziaria e un altrettanto lungo matrimonio. Quello con una donna impegnata politicamente, già senatrice della Repubblica. Una donna che a un certo punto, però, dopo anni di violenze e soprusi subiti gli ha detto basta. E lo ha denunciato.
Carlo è stato condannato a due anni con pena di reclusione sospesa a condizione che frequentasse un percorso «trattamentale» per uomini che hanno compiuto reati di questo tipo. Così è arrivato al «Cipm», il Centro italiano per la promozione della mediazione, che si occupa degli autori di maltrattamento, violenza domestica, violenza sessuale, stalking e femminicidio. Ed è qui, dove negli ultimi 14 mesi ha affrontato il proprio lato oscuro, che ha accettato di raccontarsi. Per la prima volta. Un’intervista complicata, interrotta più volte dal pianto. Perché la sua storia possa aiutare a comprenderne tante altre, diverse tra loro eppure così simili. E serva da aiuto agli uomini che si trovino invischiati nel gorgo della violenza. Prima che sia troppo tardi.
Le aggressioni, poi la denuncia. Lei come reagì?
«Inizialmente è stata una doccia fredda. Non mi rendevo conto della mia aggressività. Non so quando tutto fosse iniziato, ma è stata un’escalation».
Di cosa l’accusava sua moglie?
«Sono tante cose… le gridavo contro, la trattavo male, ero egoista. Mi reputavo il deus ex machina, il migliore. Dovevo sempre decidere io su tutto. Sono arrivato persino a sputarle in faccia, alla madre dei miei figli. Adesso mi vergogno di quello che ho fatto».
Con sua moglie è sempre stata così?
«No, con lei ero affettuoso. Ci addormentavamo dandoci i baci sugli occhi. Poi abbiamo smesso, non so perché. Presumo sia stata la vita a indurirmi, ma non so dove ho imparato questi atteggiamenti. Mio padre l’ho perso quando avevo 3 anni, non lo ricordo nemmeno. Mia madre è morta quando ne avevo 17 e non sono mai riuscito a dirle “Ti voglio bene”. È uno dei miei più grandi rimpianti».
Ha mai chiesto scusa a sua moglie?
«All’inizio non capivo i miei errori e che la colpa di tutto era mia. Oggi invece se la incontrassi di persona le chiederei scusa. Non si meritava quello che le ho fatto. Penso che abbia fatto bene a denunciarmi e la stimo anche per questo. La amavo e la amo ancora, ma ormai l’ho persa».
Perché si perde il controllo?
«Per qualsiasi stupidaggine. Non mi accorgevo di sbagliare. Mi sembrava un comportamento normale. E lei accumulava, accumulava… fino a quando non ne ha potuto più».
I vostri figli? Che ruolo hanno avuto e come hanno vissuto la situazione?
«Abbiamo due maschi. Al processo hanno testimoniato contro di me. Sono stato descritto come un “padre padrone”. A loro credo di non aver mai chiesto o fatto mancare nulla, né quando la madre era al Senato e vivevano con me, né ora che sono più grandi e con famiglia. A ogni modo adesso ci siamo riavvicinati. Un giorno mi hanno pure chiesto scusa per le cose che hanno detto in tribunale. Ma sono io che devo chiedere scusa a loro. È normale che volessero difendere la madre».
A un uomo che si trovasse nella sua situazione, oggi, cosa direbbe?
«L’ho detto ai miei figli. Non fate i miei stessi errori. Parlate con le vostre mogli, non smettete mai di cercare il dialogo. Se ci fossimo parlati, io e mia moglie… se l’avessi ascoltata non sarebbe andata così».
Ha partecipato per più di un anno agli incontri di gruppo e i colloqui con gli esperti del Cipm. Come è cambiato?
«Mi è sempre mancata la capacità di parlare, invece qui piano piano mi sono aperto. Grazie al confronto con il gruppo ho imparato a ragionare. Mi sono liberato dalla rabbia, che prima mi faceva scattare per ogni cosa. Ho iniziato a fare anche volontariato: aiuto i vecchietti, porto loro la spesa… mi sento un’altra persona, quella di una volta» .
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